AGI – L’industria è una questione di sicurezza nazionale e le conseguenze della guerra in Ucraina lo dimostrano. Gli imprenditori italiani con cui ho parlato qui a Borgo Egnazia, i tanti giovani di talento che faranno l’Italia di domani, sono preoccupati. Imprese nuove, aziende che sono sui mercati mondiali da generazioni, tutti hanno visto rallentare la globalizzazione, arretrare il commercio, chiudersi gli spazi dei beni e dei servizi. Le materie prime sono diventate una caccia al tesoro, i costi energetici un rebus a caro prezzo. Finita la pandemia, sembrava arrivato il momento della grande ripartenza dell’economia. Un’illusione, la luce in fondo al tunnel era quella di un altro treno, quello della guerra di Putin, delle tensioni crescenti tra Stati Uniti e Russia, di un’Europa che rischia di essere il manzoniano vaso di coccio tra i vasi di ferro. Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, non perde l’ottimismo, ma avvisa i naviganti: è ora di guardare alla realtà e occuparci dell’Italia con l’idea che siamo in un conflitto che disegnerà un nuovo ordine mondiale. Che partita vogliamo giocare? Abbiamo una visione? Facciamo questo viaggio nelle sfide di una contemporaneità che ha il ruggito di ferro e fuoco di un Novecento dimenticato. La guerra nel cuore dell’Europa e noi.
Presidente Carlo Bonomi, sono tempi straordinari, difficili, perfino più preoccupanti della crisi della pandemia, siamo in piena guerra in Europa.
Sì, durante la pandemia avevamo un grande obiettivo: comprare tempo per arrivare ai vaccini. Oggi purtroppo siamo in presenza di una serie di componenti esogene: l’aumento del prezzo delle materie prime, i costi energetici, e per altro dobbiamo rilevare che sta aumentando l’incertezza politica, i partiti hanno cominciato la campagna elettorale, quello che io chiamo la battaglia delle bandierine. E questo ci preoccupa molto. C’è bisogno di fare le riforme che disegneranno il paese del futuro.
La recessione è in arrivo?
Temiamo purtroppo di sì. Sarei contento se si realizzasse lo scenario migliore del Def, ma il primo trimestre ci ha dato ragione.
Sul gas russo appoggio il governo ma, subito le riforme
Gas russo, si può tagliare o no?
Premessa: noi stiamo pagando decenni di politiche sbagliate sull’energia. Noi e le famiglie italiane. Oggi il governo cerca di realizzare interventi per contrastare la crisi energetica, ma non siamo in grado di sostituire completamente subito il gas russo, vorrebbe dire un crollo della produzione del paese e non siamo soli, lo dice la Germania, lo diciamo noi, i paesi più dipendenti dalle importazioni del gas. Questa è la realtà che stiamo affrontando.
Lei condivide la linea degli industriali e dei sindacati della Germania che dicono no all’interruzione del gas russo?
La posizione della Confindustria italiana è diversa: noi appoggiamo il nostro governo nelle decisioni che prenderà, ma a una condizione che il governo apra una fase che noi definiamo di riformismo competitivo.
Che vuol dire con la formula riformismo competitivo?
Siamo disposti a sopportare i sacrifici di eventuali decisioni molte dure, ma se si fanno finalmente le cose per costruire un’Italia moderna: fisco, concorrenza, politiche attive del lavoro, giustizia. Elenco lunghissimo. E sono ferme. E addirittura i partiti non trovano una sintesi e continuano a sforbiciarle. Il forte rischio è che non arrivino decisioni nell’interesse del paese.
Lei pensa che le sanzioni fermino la guerra di Putin?
Ora le sanzioni adottate più efficaci sono quelle che hanno bloccato l’operatività della banca centrale russa. Venendo all’economia reale, le vere sanzioni l’Italia le ha adottate dopo la guerra di Crimea. Tanto che oggi l’export verso la Russia pesa solo per l’1,5% del totale nazionale, che nel 2021 ha superato i 500 miliardi, il record italiano. L’1,5% in valore assoluto non è tanto, ma in termini di settore sì. Le sanzioni che abbiamo adottato colpiscono lo stock, ma non la capacità di finanziamento della Russia, se si vuole incidere vanno bloccate le esportazioni di gas, petrolio e carbone della Russia, ma vanno valutati in maniera molto seria gli effetti.
Il 2 maggio ci sarà un vertice dei ministri europei dell’Energia. Cosa si aspetta?
Noi avevamo chiesto il tetto al prezzo del gas, non fissato dirigisticamente ma sulla base dei prezzi reali vigenti nei contratti di import dalla Russia. Prezzi che sono molto più bassi di quelli quotidiani del mercato olandese. Perché è evidente che ci sono delle speculazioni in corso e lo stiamo dicendo da settembre dello scorso anno. L’aumento dei prezzi parte da molto prima del conflitto russo-ucraino. Noi chiedevamo sostegni alla crescita in legge di Bilancio per questi motivi, vedevamo la crisi arrivare. I fatti non sono andati in quella direzione. Dal vertice dei ministri dell’Energia mi aspetto che si possa trovare una sintesi, ma è evidente che abbiamo economie molto diverse. Pensi ai francesi, hanno interessi diversi, con le scelte che hanno fatto tanti anni fa sul nucleare oggi hanno una manifattura molto competitiva e non vedo perché dovrebbero aiutare gli altri, dal loro punto di vista.
Lei riaprirebbe il piano dell’energia nucleare in Italia?
Sì, noi abbiamo fatto un referendum 34 anni fa sulle tecnologie di 34 anni fa. La tecnologia ha cambiato tutto, pensi ai vaccini, ci mettevamo anni per realizzarli, ora sono bastati pochi mesi. Mi piacerebbe che questo paese discutesse nel merito: c’è il nucleare di nuova generazione, possiamo parlarne? E poi, dobbiamo essere realisti, vicino a noi c’è la Francia che ha il nucleare, 14 paesi su 27 nell’Unione europea hanno centrali nucleari. Va fatta una riflessione di merito, che deve essere una base di discussione in Europa”.
Bene Draghi, il problema sono i partiti
Come vanno le cose tra lei e Draghi?
Molto bene. Il Presidente Draghi da premier deve fare sintesi della sua maggioranza e poi decidere. Il nostro sostegno a Draghi è sempre stato fermissimo perché questa e con lui è l’occasione per fare le riforme che servono al paese. Ma dobbiamo rilevare che sono ferme.
È un problema di Draghi o dei partiti?
Dei partiti.
Perché?
Non gli stanno consentendo di fare le riforme. Perché fanno la battaglia delle bandierine, è evidente. Hanno iniziato a rallentare l’azione riformatrice per le elezioni amministrative continua a leggere sul sito di riferimento
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