AGI – Si prospetta un martedì incerto per i mercati dopo un lunedì nero e in attesa domani di una ‘bollente’ riunione della Fed.
A raggelare le attese, la scorsa settimana, hanno contribuito le comunicazioni della Bce e l’andamento dei prezzi al consumo negli Usa, mentre domani la Fed potrebbe decidere un incremento dei tassi di 50 punti base, o addirittura di 75 punti.
E di qui a fine anno i mercati ora prezzano il Fed fund al 3,4% dall’attuale forchetta tra lo 0,75% e l’1%.
Intanto in Asia i listini restano in rosso, mentre i future a Wall Street e in Europa provano il rimbalzo, dopo che ieri a New York lo S&P 500 ha perso quasi il 4% ed è entrato nella fase ‘Orso’ essendo calato del 20% dai massimi del 3 gennaio, mentre la curva dei rendimenti dei Treasury si è brevemente invertita per la prima volta da aprile, un segnale che sui mercati è considerato l’anticamera di una recessione, che potrebbe arrivare nel prossimo anno o nel 2024.
Ad alimentare le preoccupazioni per la crescita globale contribuisce anche l’emergenza Covid in Cina, dove c’è il rischio di nuovi lockdown.
La Borsa di Tokyo cala di un punto e mezzo percentuale, mentre quella di Shanghai perde circa l’1% e Hong Kong arretra.
“Alta inflazione, crescita rallentata e tassi in rialzo sono dannose per l’azionario” commentano in una nota gli analisti di Anz.
In rialzo di oltre un punto percentuale i future a Wall Street, dopo il tonfo di ieri, con il Nasdaq giù del 4,68% e il Dow Jones a -2,79%.
Pesanti le mega cap, con Apple che ha perso il 3,83%, Microsoft il 4,24%, Alphabet il 4,29%, Amazon il 5,45%. A rotoli anche l’obbligazionario, con il rendimento del Treasury a 10 anni salito fino al 3,44%, il livello più alto dal 2011, mentre quello a 2 anni, che è il tasso che più ricalca le aspettative sui tassi di interesse, avanza al 3,22%.
In Europa I future sull’EuroSotoxx 50 crescono di circa mezzo punto percentuale, dopo che ieri Milano ha chiuso a -2,79%, bruciando circa 10,2 miliardi di euro di capitalizzazione.
Allarme rosso anche sul fronte obbligazionario, dopo che la Bce la settimana scorsa si è mostrata più ‘falco’ del previsto, preannunciando un aumento di 25 punti base a luglio e 50 a settembre senza indicare uno scudo salva-spread. Ieri il differenziale tra il Btp e in Bund è volato a 248 punti, con il rendimento del decennale balzato sopra il 4%, sui massimi da dicembre 2013, mentre il Bund a 10 anni ha toccato l’1,6%, il top dal 2014.
“La stagflazione è uno scenario possibile” ha avvertito il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner, mentre Julian Howard, direttore degli investimenti del fondo Gam è stato altrettanto pessimista per l’altra sponda dell’Atlantico: “Penso che con un’inflazione come questa, la Fed sarà costretta a spingere forte sui tassi e che questo causerà un rallentamento economico”.
“A breve termine – aggiunge – si mette male per gli investitori, che non hanno nessun posto dove rifugiarsi, a parte il cash, almeno per ora”. Intanto sui mercati valutari non c’è attesa solo per la Fed, ma anche per la Boe di giovedì e per la Boj di venerdì. La sterlina è crollata dell’1,3% e vale meno di 1,22 dollari, depressa dalle preoccupazioni per l’economia del Regno Unito. Lo yen ha toccato un minimo da 24 anni intorno a quota 135 sul dollaro e l’euro resta debole non molto sopra 1,04 dollari.
In picchiata il Bitcoin che crolla del 20%, sotto 22.000 dollari e, più in generale perde il 50% del suo valore dal picco del 2021, mentre Ethereum è giù del 65%. A scatenare la fibrillazione degli investitori la scelta di Celsius, la principale società statunitense di prestito del settore, che ha congelato prelievi e trasferimenti citando condizioni “estreme”. Piatto il prezzo del petrolio in Asia, che comunque viaggia su livelli molto elevati per i timori sulle riduzioni dei rifornimenti e sulla tenuta della domanda cinese.
Il Wti e il Brent sono rispettivamente sopra 120 e sopra 122 dollari al barile. Oggi in Germania escono i dati finali sull’inflazione di maggio e quelli dell’indice Zew a giugno. Negli Usa saranno pubblicati i prezzi alla produzione di maggio.
A Ginevra, fino a domani, il Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, tiene il suo primo incontro interministeriale da quasi cinque anni, in una fase in cui il commercio mondiale è in forte rallentamento per via della guerra in Ucraina. Lo ha sottolineato anche Mario Draghi, intervenendo alla riunione interministeriale dell’Ocse: “I nostri sforzi per prevenire una crisi alimentare devono partire dai porti ucraini del Mar Nero. Dobbiamo sbloccare milioni di tonnellate di cereali bloccati lì a causa del conflitto. Gli sforzi di mediazione delle Nazioni Unite sono passi significativi e penso, purtroppo, gli unici”.
Domani la palla passa alla Fed, poi a Boe e Boj
Domani toccherà alla Fed fare le sue mosse. La banca centrale Usa ha già aumentato i tassi di interesse di tre quarti di punto percentuale quest’anno, avvantaggiandosi sulla Bce. A giugno e luglio i mercati davano per scontato due rialzi dei tassi di mezzo punto percentuale l’uno e un altro, sempre dello 0,50% a settembre. Tuttavia l’impennata all’8,6% dell’inflazione Usa a maggio rimescola un po’ le carte e ora, secondo diverse banche Usa, la Fed potrebbe innalzare fin da giugno o luglio i tassi allo 0,75%.
Bloomberg stima al 50% le probabilità che questo accada a luglio. Intanto di qui a fine anno i mercati ora prezzano il Fed fund al 3,4% dall’attuale forchetta tra lo 0,75% e l’1%, mentre Goldman prevede tre rialzi dei tassi Fed di 50 punti base a giugno, luglio e settembre e due aumenti di 25 punti base a dicembre e gennaio. L’impatto negativo che dei rialzi dei tassi così aggressivi potranno avere sulla crescita, rallentandola, in questa fase sembra interessare relativamente la Fed, che è tutta concentrata sulla riduzione dell’inflazione.
“Questa è la priorità – commenta Cesarano – in questa fase continua a leggere sul sito di riferimento
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